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Rad gledam z ocmi otroka, ki caka, ki noce razumeti in ki ga privlacijo obrazi, smehljaji, mucne podobe unicenih hiš in strah ljudi, pa tudi nebo in svetloba. V moji skupini nastopajo osebe, kot je denimo Bobò, ki nima glasu.
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E così ho costruito come disegnando su una tela con le immagini che avevo, seguendo frammenti di poesia che parlano di libertà e costrizione, di vittime e di potenti, di gente senza viso, senza nome. Non c'è da parte mia un giudizio. Mi piace guardare con gli occhi di un bambino che aspetta, che non vuole capire ma viene attirato dai volti, dai sorrisi, dalle immagini forti di case distrutte, dalla paura della gente ma anche dal cielo, dalla luce. Ci sono nel mio gruppo persone come Bobò, senza voce, o Gianluca, che con i loro corpi diversi, con le loro diverse logiche mi sembrava che guardassero la guerra con innocenza, senza giudizio. Ecco, mi piaceva pensare che il film fosse un po' la guerra vista con gli occhi di queste persone, che forse proprio per la loro condizione di diversi possono liberamente essere attirati dalle cose brutte, violente, ma anche dalla vita segreta che comunque è nascosta dietro la ferita. Io non voglio capire, prendere posizione, la guerra è un luogo dell'animo umano buio, contorto, spesso è molto difficile definire i buoni e i cattivi, i giusti e gli ingiusti, spesso è più facile con l'occhio della poesia avvicinare una verità più profonda. E comunque sempre è la danza per me, la ricerca della bellezza del gesto, dei tanti gesti umani che si susseguono e che così mi raccontano qualcosa di più segreto, un racconto di potenza e fragilità, distruzione e costruzione, violenza e vita comunque possibile, guerra e pace; qualcosa di illogico, di incomprensibile, ma spesso forse più vero.
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