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1. Il movimento globale, da Seattle in poi, somiglia a una pila voltaica dal funzionamento dimezzato: accumula senza posa energia, ma non sa come e dove scaricarla. Si è dinanzi a una mirabile tesaurizzazione cui non corrispondono, per il momento, investimenti adeguati. O a un nuovo apparecchio tecnologico, potente e raffinato, del quale però si ignorano le istruzioni per l'uso. La dimensione simbolico-mediatica (zone rosse da violare di un palmo, forum internazionali come autoscatti polaroid della "nuova specie" in via di formazione, ecc.) è stata, insieme, occasione propizia e limite. Per un verso ha garantito l'accumulazione di energia, per l'altro ha impedito, o differito all'infinito, la sua applicazione. Ogni attivista ne è consapevole: il movimento globale non non riesce ancora a incidere – intendo: incidere con il garbo di un acido corrosivo - sull'attuale accumulazione capitalistica. Non ha messo a fuoco, cioè, quell'insieme di forme di lotta capaci di rovesciare in potenza politica sovversiva la condizione del lavoro precario, intermittente, atipico. Da dove nasce la difficoltà? Perché il saggio del profitto, ma anche il funzionamento dei poteri costituiti, non sono stati turbati più di tanto da tre anni di disordine sotto il cielo? A che cosa è dovuto questo paradossale "doppio vincolo", in base al quale l'ambito simbolico-comunicativo è, insieme, autentica molla propulsiva e fonte di paralisi?
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